E’ andata più o meno così: inizio un terzetti random a Rebirth Island. Siamo tre italiani.
Dopo meno di trenta secondi uno muore e inizia a inveire contro l’altro, dicendogli che è un coglione e che doveva essere più veloce a prendere le armi. Gli ricordiamo gentilmente che è solo un gioco e che se vuole può anche quittare, dato che continua a insistere sul fatto che siamo troppo scarsi per lui. Niente, prosegue imperterrito. Mi ritorna in bocca quel gusto acido di quando si giocava al campetto e il bulletto del quartiere ti diceva: esci che gioco io.
Peraltro nel corso della partita viene crivellato altre volte, dimostrando di non essere questo grande pro. Arriviamo al cerchio finale e rimaniamo solo io e il bullo nei pressi di Harbor. A un certo punto viene messo a terra da un cecchino, io cerco di andare da lui senza farmi ammazzare e lo sento dire “guarda questo mongoloide se viene a tirarmi su”. Per un momento penso di lasciarlo lì, poi mi avvicino, pianto la siringa e lo rianimo. Ma solo fino a quando manca l’ultimo colpetto. Mi alzo e gli dico “che c’è, non riesci a ressarti da solo?”
Lo lascio a morire nel gas, cala il silenzio, sento solo l’altro ragazzo che soffoca una risata nel microfono.
Alla fine siamo arrivati secondi, ma non poteva che andare così. La storia è questa: loro ci saranno sempre. Vinceremo sempre noi.

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